Equo compenso: le novità della legge e le sue criticità

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Dal 20 maggio scorso sono in vigore le nuove disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali. In attesa della pubblicazione dei decreti del MIMIT che stabiliranno i parametri per l’equo compenso destinato alle professioni non ordinistiche e della definizione degli strumenti di controllo da parte degli Ordini Professionali, nonché il conseguente sistema disciplinare, sono molti i professionisti che evidenziano le criticità applicative della nuova disciplina.

Indice

1. Le finalità della nuova legge sull’equo compenso
2. Quando il compenso può definirsi equo
3. L’ambito applicativo
4. Nullità delle clausole contrarie
5. Le sanzioni disciplinari
6. Parametri previsti per le professioni ordinistiche
7. Le criticità evidenziate

1. Le finalità della nuova legge sull’equo compenso

Come noto, lo scorso 12 aprile la Camera dei Deputati ha approvato la proposta di legge Meloni e Morrone, “Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali”, il cui iter legislativo si è poi concluso con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale il 5 maggio della Legge n. 49/2023, entrata in vigore lo scorso 20 maggio 2023.

Il provvedimento ha come finalità “la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità, alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale” (art. 1) e rappresenta un correttivo delle disposizioni contenute nell’art. 19-quaterdecies del D.L. n. 148/2017, e nell’art. 1, commi 487 e 488, della Legge n. 205/2017 (ora abrogati), considerati contrari ai principi di libera concorrenza previsti dalla disciplina comunitaria nonché d’ostacolo alla concorrenza tra professionisti nelle relazioni commerciali con alcune tipologie di clienti cosiddetti “forti” (in particolare, la Pubblica Amministrazione).

Ecco il motivo, come da molti evidenziato, per cui la nuova normativa si prefigge in primis di tutelare i professionisti nell’ambito dei rapporti d’opera professionale in cui essi si trovino nella posizione di “contraenti deboli”.

2. Quando il compenso può definirsi equo

La definizione di equo compenso è contenuta nell’art. 1 della legge, secondo il quale:

“per equo compenso si intende la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai compensi previsti rispettivamente:
a) per gli avvocati, dal decreto del Ministro della giustizia emanato ai sensi dell’art. 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247;
b) per i professionisti iscritti agli ordini e collegi, dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell’art. 9 del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27;
c) per i professionisti di cui al comma 2 dell’art. 1 della legge 14 gennaio 2013, n. 4, dal decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e, successivamente, con cadenza biennale, sentite le associazioni iscritte nell’elenco di cui al comma 7 dell’art. 2 della medesima legge n. 4 del 2013”.

 Da attenta lettura della disposizione si evince che il compenso del professionista può essere definito “equo” se:

  1. proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto;
  2. proporzionato al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale;
  3. conforme ai compensi previsti dai parametri fissati con appositi decreti ministeriali.

Per quanto concerne i parametri, la nuova normativa prevede che essi debbano essere aggiornati con cadenza biennale. Quanto ai parametri relativi ai compensi dei professionisti non ordinistici, ciò è espressamente disposto dall’art. 1, lett. c) della legge n. 49/2023, il quale prevede altresì, in sede di prima emanazione e dei successivi aggiornamenti, l’audizione delle associazioni iscritte nell’elenco di cui all’art. 2, comma 7, della legge n. 4/2013.

3. L’ambito applicativo

L’ambito applicativo è definito dall’art. 2, dalla cui lettura si evince che legge sull’equo compenso si applica “ai rapporti professionali aventi ad oggetto la prestazione d’opera intellettuale di cui all’art. 2230 del codice civile”.

In linea generale, dunque, le nuove disposizioni riguardano le prestazioni d’opera intellettuale disciplinate dal Libro V del codice civile, al Capo II del Titolo III.

Le disposizioni statuite dalla normativa non riguardano tutti i rapporti d’opera professionale, ma solo quelli intercorrenti tra il professionista e specifici soggetti, appartenenti a determinate categorie. Si applica cioè alle prestazioni d’opera intellettuale rese dal professionista (anche in forma associata o societaria) in favore di:

  • imprese bancarie e assicurative;
  • società controllate dalle prime o loro mandatarie;
  • imprese che nell’anno precedente al conferimento dell’incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di 50 lavoratori “o” hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro;
  • Pubbliche Amministrazioni e società disciplinate dal Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica, di cui al D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175.

4. Nullità delle clausole contrarie

L’art. 3 della legge, intitolato alla “nullità delle clausole che prevedono un compenso non equo”, oltre a statuire chiaramente che sono nulle le clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata, prevede altre specifiche ipotesi di nullità con riferimento alle pattuizioni che:

  • vietino al professionista di domandare acconti nel corso della prestazione;
  • impongano al medesimo professionista l’anticipazione di spese;
  • attribuiscano, comunque, al committente vantaggi sproporzionati rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro svolto o del servizio reso.

Sono, inoltre, nulle – anche se contenute in documenti contrattuali distinti dalla convenzione – le pattuizioni che:

  • riservino al cliente la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto;
  • attribuiscano al cliente la facoltà di rifiutare la stipulazione in forma scritta degli elementi essenziali del contratto;
  • attribuiscano al cliente la facoltà di pretendere prestazioni aggiuntive che il professionista deve eseguire a titolo gratuito;
  • impongano al professionista la rinuncia al rimborso delle spese connesse alla prestazione dell’attività professionale oggetto di convenzione;
  • prevedano termini di pagamento superiori a 60 giorni dalla data di ricevimento, da parte del cliente, della fattura o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente;
  • prevedano che, in caso di un nuovo accordo sostitutivo di un altro precedentemente stipulato con il medesimo cliente, la nuova disciplina in materia di compensi si applichi, se comporta compensi inferiori a quelli previsti nel precedente accordo, anche agli incarichi pendenti o, comunque, non ancora definiti o fatturati;
  • condizionino la corresponsione del compenso pattuito per l’assistenza e la consulenza in materia contrattuale alla sottoscrizione del contratto;
  • obblighino il professionista a corrispondere al cliente o a terzi compensi, corrispettivi o rimborsi correlati all’uso di software, banche dati, sistemi gestionali, servizi di assistenza tecnica, di formazione e di qualsiasi bene o servizio la cui utilizzazione o fruizione nello svolgimento dell’incarico sia richiesta dal cliente.

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Osserva – Va comunque ricordato che si tratta di una nullità parziale, che inficia la singola clausola ma non comporta la nullità dell’intero contratto, che rimane, quindi, valido ed efficace per il resto, così come espressamente previsto dall’art. 3, comma 4, della legge n. 49/2023. Ne consegue che l’accordo di conferimento dell’incarico rimane valido anche quando preveda la corresponsione, per il professionista, di un compenso non equo.

La nullità in esame, inoltre, si configura alla stregua di una “nullità di protezione”, atteso che essa opera a vantaggio del solo professionista, ed è rilevabile d’ufficio da parte del giudice.

La L. 49/2023 prevede anche specifici strumenti a tutela del professionista. La nullità delle clausole che prevedano un compenso non equo, infatti, può essere fatta valere dal professionista giudizialmente.

È inoltre previsto che gli Ordini e Collegi professionali possano rendere pareri di congruità dei compensi pattuiti aventi valore di titolo esecutivo, salva la possibilità del debitore di opporvisi.

La nullità delle clausole predisposte in violazione della legge n. 49/2023, infine, può essere fatta valere mediante un’azione di classe proposta dai Consigli nazionali degli Ordini o dalle associazioni maggiormente rappresentative dei professionisti interessati (ex art. 9 della legge n. 49/2023).

L’art. 4 della legge n. 49/2023 riconosce, infine, al professionista la possibilità di ottenere, oltre alla rideterminazione del compenso in misura equa ed alla relativa condanna di pagamento, anche una ulteriore somma a titolo di indennizzo. Tale somma può arrivare fino al doppio della differenza tra il compenso rideterminato in misura “equa” e l’importo eventualmente già versato al professionista.

Il professionista beneficia anche del diritto di ottenere il risarcimento dell’eventuale maggior danno.

5. Le sanzioni disciplinari

La normativa prevede anche sanzioni disciplinari per il professionista che violi le disposizioni in materia di equo compenso. Le disposizioni sono contenute all’art. 5, comma 5, che demanda agli Ordini e ai Collegi professionali il compito di adottare disposizioni deontologiche finalizzate a sanzionare le violazioni, da parte del professionista:

  1. dell’obbligo di “convenire” o di “preventivare” un compenso che sia giusto, equo e proporzionato alla prestazione professionale richiesta e determinato in applicazione dei parametri previsti dai decreti ministeriali;
  2. dell’obbligo di avvertire il cliente – nei soli rapporti in cui la convenzione, il contratto o comunque qualsiasi accordo con il cliente siano predisposti esclusivamente dal professionista – che il compenso per la prestazione professionale deve rispettare in ogni caso, a pena di nullità della pattuizione, i criteri stabiliti dalla legge n. 49/2023.

6. Parametri previsti per le professioni ordinistiche

Stante quanto statuito dalla legge n. 49/2023, rientrano chiaramente nell’ambito oggettivo di applicazione delle norme sia le attività svolte dai Dottori Commercialisti ed Esperti contabili sia le prestazioni rese dagli organi di controllo (Collegio sindacale o sindaco unico) e dai revisori legali delle società rientranti nell’ambito di applicazione della legge in questione, ancorché nominati mediante delibere assembleari. In particolare per quest’ultimi le nuove disposizioni devono essere recepite per il calcolo dei compensi spettanti ai colleghi nominati a partire dal 20 maggio 2023.

I compensi dei professionisti iscritti a Ordini o Collegi devono essere conformi ai parametri previsti da decreti ministeriali adottati ex art. 9 del D.L. n. 1/2012 convertito. Tra i decreti attualmente vigenti si possono ricordare:

  • il D.M. 20 luglio 2012, n. 140, relativo ai compensi di Commercialisti ed Esperti Contabili e dei Notai;
  • il D.M. 21 febbraio 2013, n. 46, relativo ai compensi dei Consulenti del lavoro;
  • il D.M. 19 luglio 2016, n. 165, relativo ai compensi di medici veterinari, farmacisti, psicologi, infermieri, ostetriche e tecnici sanitari di radiologia medica.

Si tratta di decreti ormai datati che dovranno essere rivisti ed aggiornati per riportare i parametri ivi indicati a valori coerenti con le attuali caratteristiche del mercato.

Attività dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili

Con particolare riferimento ai parametri relativi all’attività di Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, inoltre, si è osservato come il D.M. n. 140/2012 disciplini molte delle funzioni professionali da essi svolte, ma non tutte.

In esso non sono previste alcune specifiche attività professionali, quali, per esempio, la partecipazione agli organismi di vigilanza ex D.Lgs. n. 231/2001 in società ed enti e le funzioni di organo di controllo negli enti del Terzo settore, ex art. 30 del D.Lgs. n. 117/2017.

Attività dei Sindaci

Con riguardo all’attività del sindaco, nelle società cui si applica la legge n. 49/2023, la determinazione degli onorari è disciplinata dall’art. 29 del citato D.M., che richiama, quanto ai parametri di valore, i dati di cui al riquadro 11 della Tabella C, relativa ai compensi spettanti agli iscritti negli Albi professionali dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, che àncora l’ammontare dei compensi alla “sommatoria dei componenti positivi di reddito lordi e delle attività”; cioè, in sostanza, alla sommatoria del Totale Valore della Produzione e del Totale Attivo di bilancio.

Attualmente, i valori minimi ivi indicati corrispondono a:

  • 6.000,00 euro, se la predetta sommatoria non supera 5 milioni di euro;
  • 6.000,00 euro più lo 0,009% dell’eccedenza rispetto a 5 milioni di euro, se la predetta sommatoria è compresa tra 5 e 100 milioni di euro;
  • 14.550,00 euro più lo 0,006% dell’eccedenza rispetto a 100 milioni di euro, se la predetta sommatoria è compresa tra 100 e 300 milioni di euro;
  • 26.550,00 euro più lo 0,005% dell’eccedenza rispetto a 300 milioni di euro, se la predetta sommatoria è compresa tra 300 e 800 milioni di euro;
  • 51.550,00 euro più 7.500,00 euro per ogni 100 milioni (o frazione di 100 milioni) di eccedenza
  • rispetto a 800 milioni di euro, nel caso in cui la sommatoria sia superiore a tale ultimo valore.

L’art. 29 del D.M. n. 140/2012 prevede, inoltre, che il compenso così determinato possa essere:

  • aumentato fino al 100% quando il professionista riveste la carica di sindaco unico, mentre, nei casi di organo collegiale, è incrementato fino al 50% con riguardo al professionista che riveste la carica di presidente del Collegio sindacale;
  • ridotto, fino alla metà, nel caso in cui l’incarico riguardi società di semplice amministrazione di beni immobili di proprietà o di mero godimento di beni patrimoniali, oppure in stato di liquidazione o in procedura concorsuale.

Osserva – Poiché la nuova normativa disciplina anche i casi di nullità nel caso dell’attività di sindaci e revisori di società, qualora la delibera di nomina preveda compensi non equi, è da ritenere che sia da considerare nulla solo nella parte che disciplina tale aspetto, mantenendo validità ed efficacia per il resto.

7. Le criticità evidenziate

La nuova normativa, per quanto molto apprezzata, non è comunque priva di alcune rilevanti criticità che hanno da subito animato un acceso dibattito tra i professionisti. In particolari gli aspetti più discussi, relativamente ai quali si attendono chiarimenti e/o integrazioni per il tramite di Regolamenti e Linee Guida, sono i seguenti.

  • Rivedere quanto prima parametri per il calcolo dell’equo compenso previsti dal decreto n. 140 /2012, a cui la nuova normativa fa riferimento per il calcolo, in quanto chiaramente inadeguati. L’aggiornamento è necessario al fine di valutare le diverse prestazioni rese e il diverso impegno e responsabilità richieste per il loro espletamento, nonché le conseguenze dell’aumento dei tassi d’inflazione.
  • Contenere le disparità di trattamento nel calcolo dell’equo compenso fra i professionisti iscritti all’ordine e quelli non iscritti, per i quali non vige neanche la conseguenza della eventuale sanzione. Per alcuni trattasi di una norma che potrebbe essere lesiva di una leale concorrenza professionale poiché non obbliga tutti coloro che svolgono la medesima attività professionale, ma solo coloro che sono iscritti a determinati ordini.
  • La veloce definizione da parte degli Ordini del regolamento che, oltre a prevedere le sanzioni da applicare al professionista in caso di mancato rispetto dell’applicazione della normativa per equo compenso, stabilisca anche e soprattutto quali saranno gli strumenti di controllo che saranno utilizzati da parte degli stessi ordini per effettuare le necessarie verifiche.
  • Chiarire meglio la ratio per cui la disciplina dell’equo compenso debba essere limitata solo ad alcune tipologie di clienti piuttosto che estesa a tutti i rapporti che riguardano le prestazioni professionali, indipendentemente dal soggetto destinatario di quella prestazione. Al riguardo già lo stesso Consiglio Nazionale chiedeva di estenderne l’applicazione ai rapporti professionali verso ogni impresa, senza limiti dimensionali per “garantire il pieno riconoscimento dell’equità del compenso del lavoratore autonomo, in conformità alle previsioni dell’art. 36 della Costituzione nonché dell’art. 2233 del Codice civile”, avendo cura che le norme abbiano un impatto soprattutto in riferimento ai giovani professionisti. Infatti, la limitazione alle grandi realtà aziendali, che sono solitamente seguite da studi molto strutturati, di fatto esclude i giovani dalla disciplina dell’equo compenso.
  • Chiarire l’effetto della disposizione che “stabilisce la nullità delle pattuizioni che prevedono compensi non equi” sulla validità delle delibere assembleari. Se ci si limita alle sole pattuizioni irregolari, la norma suggerisce che la nomina sarebbe valida, ma la deliberazione del compenso sarebbe nulla. Tuttavia, è importante ricordare che il compenso viene determinato dall’assemblea all’atto della nomina e per tutta la durata dell’incarico. Se viene individuato un compenso inferiore all’equo, non sarà valido e verrà integrato dal Giudice, comportando anche una sanzione disciplinare per il professionista. Si pone quindi la questione dell’impugnabilità della pattuizione, che può essere rilevata d’ufficio o dal professionista leso nel suo diritto. Tuttavia, se il professionista ha accettato il compenso, si “autodenuncia” al proprio Ordine competente e incorre in una sanzione disciplinare”.

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